Attacchi di panico – due approcci terapeutici a confronto.
da:”Better Care for Panic Disorder”- Ivanhoe Broadcast News – Oct, 2001
I disturbi di attacco di panico rappresentano oggi una delle più diffuse patologie psichiche ed in costante aumento, colpisce infatti circa il 3% della popolazione degli Stati Uniti ed interessa soggetti di entrambi i sessi soprattutto di età giovanile con manifestazioni di intense somatizzazioni su base ansioso-depressiva.
La patologia da attacco di panico (dap) è considerata impegnativa e complessa dai terapeuti a causa della intensa e spesso multiforme sintomatologia di somatizzazione ad essa associata e delle ripetute recidive che possono costellare il percorso terapeutico, che solitamente consiste in una psicoterapia ad indirizzo cognitivo-comportamentale affiancata ad un trattamento farmacologico con ansiolitici o antidepressivi.
Alcuni ricercatori della Washington University School of Medicine hanno concluso uno studio sull’argomento confrontando diversi approcci terapeutici tradizionali al disturbo di attacco di panico e proponendo un nuovo approccio, caratterizzato essenzialmente da un maggiore coinvolgimento dei pazienti alla terapia stessa.
I partecipanti allo studio, un campione di circa 100 pazienti con diagnosi clinica di dap è stato suddiviso in due sottogruppi – di cui il primo ha ricevuto un trattamento di tipo tradizionale con colloqui psicoterapeutici e trattamento farmacologico di supporto, ed il secondo un approccio denominato dai ricercatori stessi “collaborativo” – e seguiti dall’equipe dei ricercatori per un periodo di circa un anno.
In questo secondo tipo di trattamento viene infatti richiesto un coinvolgimento maggiore al paziente e gli vengono forniti strumenti per una comprensione maggiore delle proprie difficoltà psicologiche per mezzo di videotapes e dispense illustrative; sono inoltre possibili contatti telefonici ripetuti, soprattutto nei primi mesi di trattamento, tra terapeuti (anche più di uno) e paziente.
I risultati ottenuti al termine della ricerca hanno mostrato un miglioramento sensibilmente maggiore, in termini di remissione della sintomatologia e delle somatizzazioni presenti all’inizio della cura, nel caso dei soggetti del secondo gruppo che hanno seguito il trattamento “collaborativo” rispetto al gruppo dei pazienti con trattamento tradizionale.