Se qualcosa può andar male, lo farà!… e nel peggiore dei momenti…
“Se qualcosa può andar male, lo farà”, recita disincantata la legge di Murphy.
Ma se il popolo dei pessimisti ha da sempre dalla sua parte una folta letteratura fatta di pagine di autori infelici e citazioni di cinica saggezza popolare, oggi gli scienziati avvertono: “Aspettarsi sempre il peggio dalle situazioni non serve a preservarci dalla delusione, neanche quando i fatti confermano le previsioni nefaste”. A rivelarlo è uno studio di un gruppo di psicologi americani pubblicato sulla rivista Nature.
“E’ meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che pessimisti e avere ragione”. Lo diceva Albert Einstein, e la ricerca non fa che confermarlo. Gli scienziati hanno sottoposto 80 studenti a due sessioni di esami: la prima facile per tutti, la seconda più complicata per qualcuno e più semplice per altri. Così hanno dimostrato che “gli studenti convinti di aver sbagliato la seconda prova erano psicologicamente in uno stato di preoccupazione e prostrazione, nonostante avessero la consapevolezza di aver affrontato un test più complesso di cui non conoscevano ancora l’esito finale”.
Il risultato, dicono i ricercatori, conferma che le reazioni delle persone agli sbagli o alle delusioni si riferiscono principalmente alle aspettative generali della vita. “Chi pensa di aver commesso un errore si sente peggio, indipendentemente dal risultato finale, di chi si prefigura più rosee aspettative”, spiegano Margaret Marshall e Jonathon Brown, autori dello studio. Che mette al bando i cosiddetti “pensieri bui”, frutto di una visione negativa della vita, retaggio della filosofia del “meglio essere pronti al peggio”. Così, se l’esito è negativo, il trauma è sostenibile. Se poi fortuna vuole che ci attenda una sorpresa positiva, tanto meglio. Ma si tratta solo di un espediente che, tra l’altro, non funziona.
“Purtroppo – affermano i ricercatori – non è facile correggere questo temperamento pessimista”. Alla cui origine c’è una forte insicurezza e una scarsa stima di sè, che diventano tratti predominanti del carattere e condizionano i comportamenti. Al contrario degli ottimisti, questi soggetti non sanno essere costanti nel perseguire gli obiettivi, al di là degli ostacoli incontrati e degli errori commessi, e sono incapaci di puntare alle speranze di successo, tesi come sono a focalizzare le energie sulla paura del fallimento. Un timore paralizzante, con ripercussioni evidenti (e scientificamente dimostrate) sul benessere del corpo, oltre che della mente.
La scienza, che da qualche tempo si dedica allo studio della felicità e del pensiero positivo come elisir di sana e lunga vita, ha messo in luce la stretta correlazione tra ottimismo e salute. Vedere rosa, infatti, esorcizza il rischio di ammalarsi e cadere in depressione, e lo stesso sistema immunitario ne esce rinforzato. Ma la cosa più importante è che ottimisti si diventa. Che ribaltato significa: dal pessimismo si può “guarire”.
In che modo? Smettendo di autoaccusarsi, innanzitutto. Cercando di spiegarsi gli eventi in modo temporaneo, senza darsi una risposta (negativa, ovviamente) che andrebbe ad investire tutti i campi dell’esperienza, con effetti devastanti: l’eventuale insuccesso va circoscritto, senza farne una catastrofe. Mettendo in discussione la tendenza a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto e imparando dagli errori. Mantenendo costante il dialogo con se stessi. E poi, sforzandosi di pensare positivo. Così sarà meno difficile vincere ma, soprattutto, più facile accettare una sconfitta.
Fonte: La Repubblica